Il Senatore repubblicano della Florida Marco Rubio ha dichiarato, qualche settimana fa, che il Presidente George W. Bush agì correttamente autorizzando l’invasione dell’ Iraq nel 2003 date le informazioni che aveva a disposizione all’epoca. “Un presidente non può prendere una decisione su fatti che qualcuno potrebbe conoscere in futuro” ha chiosato Rubio, entrando in una controversia che ha già visto lo scivolone dell’ex Governatore della Florida Jeb Bush, uno dei potenziali candidati repubblicani alle prossime elezioni nonchè fratello dell’ ex presidente, costretto a rettificare il tiro dopo aver dichiarato che avrebbe agito allo stesso modo del fratello se si fosse trovato al suo posto.
Questi commenti riguardo l’impopolare seconda guerra del Golfo non fanno che riaccendere la polemica intorno a uno dei temi caldi della prossima campagna elettorale americana, stante la precaria situazione dell’Iraq, stretto tra la minaccia onnipresente di una frammentazione etnico-religiosa interna e la presenza dell’ IS, corpo estraneo che domina più di un terzo del territorio nazionale.
Se è innegabile che nessun decisore politico abbia la possibilità di prevedere oltre una certa misura la portata e gli effetti delle proprie decisioni, alcuni capisaldi della situazione del 2003 meritano di essere ricordati affinchè sia possibile valutare in maniera corretta le affermazioni dei due esponenti repubblicani.
La prima concerne il fatto che, al tempo, gli Stati Uniti si trovassero già impegnati in Afghanistan da quasi due anni a combattere una guerra asimmetrica contro un avversario che preferiva le scaramucce e gli agguati alle operazioni belliche su larga scala, dove gli USA avrebbero facilmente potuto prevalere. La speranza di una guerra tra eserciti tradizionali è presto scemata anche in Iraq dopo le prime settimane di conflitto, impantanando le truppe in un secondo incubo afghano e gli stati maggiori in un ulteriore conflitto di non facile nè rapida soluzione.
La seconda considerazione attiene al fatto che nel 2003 gli Stati Uniti scommisero di poter fare rapidamente dell’ Iraq il loro pivot strategico nel Medio-oriente “alleviando” in tal modo la loro presenza in Arabia Saudita, unico e più forte alleato degli americani nell area che tuttavia mal sopportava la presenza di soldati occidentali nel territorio nazionale.
Dopo oltre dieci anni dall’ inizio dell’ operazione Iraqi Freedom, il Paese rimane uno dei punti più caldi dell’area medio-orientale senza essere ritornato l’alleato che si sperava di riuscire a plasmare dopo la deposizione di Saddam Hussein.
Se è pur vero che nessun presidente di nessuna nazione è dotato di una sfera di cristallo al momento di decidere le linee guida della politica del propiro paese, tuttavia è auspicabile che le lezioni del passato vengano assimilate al più presto quando si parla di un conflitto che, alla dichiarazione (unilaterale da parte americana ) di fine delle ostilità, aveva causato 4400 vittime militari per i soli Stati Uniti.